venerdì 27 giugno 2014

INSALATA DI ANGURIA FETA E OLIVE NERE


Si, lo ammetto ho un debole, per questo formaggio.
La Feta, anzi, il Feta greco.
Ma si, sbizzarriamoci nell'inventare insalate fresche, mica d'estate si può vivere solo di pomodoro e mozzarella.
Oddio, io per un cuore di bue e un fiordilatte di quelli appena filati e caldi di acqua di governo, beh, venderei mio marito, no dai, scherzo.
L'ho già scritto in questo  post dello scorso anno; sapete dove si trovano i pomodori cuore di bue più buoni al mondo? A Sorrento, solo in penisola sorrentina (secondo me)
Se appena appena ti sposti verso Castellammare già non se ne vedono più, io da ragazzina sono cresciuta a San Marzano, e Sorrento è solo a 40 Km.
Nelle mie vacanze sorrentine, da sposata, avevo una vicina di casa che mi adorava.
Quando partivo, per il ritorno a casa, una cassetta dei pomodori del suo giardino, trovava sempre posto fra valigie, borse e bottiglie di vino che mi suocero infilava in ogni anfratto del portabagagli.
Però tutti gli anni succedeva sempre lo stesso mistero.
Quei pomodori, quella mozzarella, il vino, appena arrivati nel clima nordico perdevano parte delle loro caratteristiche organolettiche, non dico totalmente, ma il sapore ed il profumo non erano più quelli.
Ritorniamo alla nostra feta greca, comprata al supermercato, sottovuoto e con tanto di marchio DOP.
Che dite, se la si mangia a Creta? Mmmmm cambia il sapore vero? :-(

Ingredienti per 4 persone
1 cipolla di Tropea
il succo di 2 lime
1 kg di anguria
250 gr di feta
menta fresca
olive nere al forno (denocciolate)
olio extravergine di oliva
pepe (se gradito)

Pelare la cipolla, tagliarla sottilmente, porla in una ciotola e irrorarla con il succo dei lime.
Tagliare l'anguria a cubetti eliminando i semi e della stessa dimensione la feta, porre tutto in una capiente insalatiera, aggiungere la cipolla con il succo dei lime, delle foglioline di menta le olive denocciolate e se si desidera del pepe macinato.
Porre in frigo per una mezz'oretta prima di servire, condire con un filo di olio e portare in tavola.







giovedì 19 giugno 2014

CHIFFON CAKE ALL'ACQUA




























INGREDIENTI 

285 g farina
300 g zucchero di canna (ho messo quello normale)
6 uova grandi (per un totale di 340 g di albumi)
195 ml acqua
120 olio di semi di mais (io avevo quello di arachidi)
1 bustina di lievito per dolci
1 bustina di cremor tartaro da 8 gr
pizzico di sale
scorza di limone
vaniglia (io uso i semi bio nel vasettino di vetro)

Pre riscaldate il forno a 160°.
Unite in rigida sequenza: farina, zucchero, lievito e sale setacciandoli in una ciotola piuttosto capiente.
Fate un buco al centro del composto (a fontana) e unite, senza amalgamare: olio, tuorli, acqua, scorza di limone e vaniglia. Importante: non toccare, per ora.
Passiamo agli albumi: uniteli con il cremor tartaro e montateli a neve fermissima (non ferma, fermissima).
Recuperate il composto di cui al punto 3 e amalgamatelo con lo sbattitore fino ad ottenere un composto liscio e omogeneo.
Unite gli albumi montati a neve fermissima al composto, fatelo delicatamente e lentamente, ma con molta cura.

Versate il composto nello stampo originale per ciambella americana.




Se non l'avete, utilizzate un comune stampo da 30 cm, però che sia per ciambella.
IMPORTANTE: non imburrate lo stampo originale ma imburrate e infarinate solo se avete quello comune.
La cottura si fa in due tempi senza estrarre lo stampo dal forno:
I fase: posizionate lo stampo nel ripiano inferiore del forno e cuocetelo per 50 min a 160°.
II fase: alzate la temperatura a 175° per altri 10 min

Terminata la cottura, è importante che il ciambellone si raffreddi capovolto nel suo stampo.



È per questo che quello originale ha dei piedini per poterlo capovolgere e tenere ad una certa distanza dal piano. Inoltre, questo spiega perché lo stampo non vada imburrato, vi immaginate se il ciambellone cadesse prima del dovuto? Non credo sia facile trovare lo stampo originale, tenete conto però che l’importante è che sia in alluminio e che lo teniate ad una certa distanza dal piano d’appoggio con dei supporti, questo perché il suo interno risulti decisamente morbido e umido, e non bagnato e crudo.
Una volta raffreddato staccatelo dalla ciambelliera (o stampo che sia) con una spatola, se avete eseguito tutto alla perfezione, dovrebbe staccarsi senza problemi.

Può essere utilizzato anche uno stampo senza buco ma poi dovete comunque capovolgerlo per farlo asciugare.


C'è chi ha la testa nelle nuvole, voi con questa torta le nuvole le porterete in tavola.
PAROLA MIA!!!!!


sabato 14 giugno 2014

BOCCONCINI DI " PANE CUNZATU " CON VASTEDDA DELLA VALLE DEL BELìCE!


Alla penultima lezione ONAF (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Formaggi) la preparatissima e simpatica docente ci ha parlato delle paste filate.
Sono rimasta due ore in catalessi.
La lezione più bella in assoluto, forse anche perché riguardava prodotti della mia terra, dalle Mozzarelle di bufala DOP al Provolone del Monaco DOP,  formaggio tipico del paese del mio adorato suocero.
Paste filate della Campania, Puglia ecc ecc, e si arriva fino in Sicilia.
Ed è qui che m'innamoro all'istante nell'ascoltare la sua storia: come nacque la Vastedda della Valle del Belìce.


Ve ne trascrivo una parte,  presa da Taccuini Storici, giusto per far innamorare anche voi.

La Vastedda della Valle del Belìce DOP è sicuramente molto originale: è un raro caso di formaggio a pasta filata ottenuto da latte ovino e il nome, vastedda, deriva dal piatto in ceramica dove la forma viene lasciata a riposare dopo la filatura. Prodotto nella Valle del Belìce nel periodo estivo, nacque per rispondere all’esigenza dei casari di recuperare i pecorini che presentavano dei difetti. Il nome deriva dal termine dialettale “vasta” cioè guasta, andata a male. I pecorini mal riusciti venivano filati ad alta temperatura,  per realizzare un formaggio a forma ovoidale da consumare fresco, entro due o tre giorni.
La Valle del Belice ha una lunghissima tradizione nella pratica dell'allevamento ovino, soprattutto finalizzato alla produzione di formaggi. Questa tradizione, nelle metodologie e nelle tempistiche, è rimasta pressoché invariata: le pecore sono ancora allevate al pascolo e riparate in ovili che garantiscano il totale benessere degli animali e di conseguenza la migliore qualità del latte. Allo stesso modo, la vastedda è ancora oggi un formaggio artigianale, lavorato da maestri casari con estrema abilità e professionalità, tramite l'uso di tipiche attrezzature in legno e giunco, che conferiscono al prodotto le sue peculiarità.

La prof ci disse che facendo un giretto da Eataly l'aveva vista nel reparto formaggi.
Molto più semplice per me prendere la metropolitana, anche se un giretto in Sicilia me lo rifarei tanto volentieri.
Ma la volevo assaggiare subito.

Pane Cunzatu, poi visto che avanzava del condimento,  ho preparato una pasta fredda.
Il tutto completato con questo formaggio straordinario.
Nel caso non lo trovaste, usate un primo sale o un formaggio fresco di pecora (fresco, NON molle).
Ora vi posto un po' di foto, alla fine trovate gli ingredienti ed il procedimento per preparare anche i pomodori confit.
Oggi a pranzo me sugnu arricriata







Vastedda del Belìce ( o degno sostituto)
pomodori pachino e datterini
timo fresco
zucchero
origano
olive nere ( ho usato quelle cotte in forno)
fiori di capperi
pane di grano duro (preferibilmente fatto con lievito naturale)
olio extravergine di oliva
sale
pasta (formato a piacere)

Per preparare i pomodori confit:
Tagliarli a metà e poggiarli su una placca rivestita di carta forno.
Cospargerli con un po' di timo dello zucchero, sale ed un filo di olio.
Farli cuocere in forno caldo nella parte alta per almeno 90 minuti a 140°, spegnere il forno e lasciarli ancora per 30 minuti ad asciugare lasciando la ventola del forno accesa. (attenzione che non brucino).
Tagliare il pane in due parti e farle riscaldare su una padella di ghisa.
Condire il pane con i pomodori, le olive che avremo denocciolato, i capperi (sciacquati ed asciugati anche se sono sott'aceto), un pizzico di origano, sale e un filo di olio.
Infine cubetti di Vastedda a completare questa meraviglia.
Si può condire anche la pasta come vedete dalle foto.
Vi lascio con un proverbio siciliano che mi sembra adatto ...

Cu' arrobba pri manciari, nun fa piccatu!!
Arrobbati genti , arrubbati pure!!!!


domenica 8 giugno 2014

ANTIPASTO DI GAMBERI CALAMARI E ANGURIA GIALLA



E' che, finalmente dopo tanto tempo, riesco ed incontrare Michela, amica conosciuta su Facebook.
Micky,  arriva in quel di Milano da Treviso, un pomeriggio con lei non posso lasciarmelo sfuggire.
Cosa si dicono due donne quando si incontrano per la prima volta?
<< Ma quanto sei gnocca? >> , ghiaccio sciolto in un momento e, subito dopo, un buon caffè nel mio bar preferito in via Dante.
Empatia all'istante, un po' di racconti di noi e poi da Eataly, condividiamo una passione comune; il cibo e la cucina.
Un piccolo tragitto di Corso Como ....



e poi si arriva da Eataly ....


Un giro nel regno del cibo; supermercato, negozi che vendono salumi, formaggi, carne, pesce, frutta e verdura, stand da esposizione, sale di degustazione, ristoranti a tema, la biblioteca, aule per corsi di educazione alimentare e di cucina, insomma l'abbiamo girato tutto tutto tutto.
Preso l'ascensore per ritornare al piano terra,  un selfie che non guasta mai .....


e ci sediamo per mangiare un gelato, quando, alle sue spalle, la vedo, bella nel suo intarsio a zig zag:
Anguria gialla
Mai vista prima di allora.



<< Michy la compro, voglio assaggiarla e voglio farne una ricetta >>
Vista e presa. E  mo'? che ricetta ce posso fa' con un'anguria? 
SOS Cuoca. ovvero telefonata all'amica Palma D'Onofrio.
<< Palmì che ce faccio con st'anguria gialla? >>
<< Giovà ma è la prima volta che le vedi? qui in Puglia circolano da almeno 10 anni >> :-(
<< Sobh! Dai, per favore,  dimmi che posso fare, mica il solito gelo?! >>
<< Un antipasto, fai un antipasto.
 Fai insaporire dei gamberi nell'olio, poi dei calamari che cucini alla piastra, cetriolo tagliato a cubetti, lo stesso fai dell'anguria, e arancia pelata a vivo.
Prepara un emulsione con olio, aceto di mele, qualche fogliolina di menta, un po' di miele, pepe di Szechuan  e condisci il tutto. >>
<< Pepe de che??? Szechuan? e dove lo trovo?  Pepe rosa nooo? >>
<< NO!, Quello! Fa la differenza >>   :-( 


Detto fatto. Comprato pure il pepe di  Szechuan
Volete provare questo antipasto? 
Rifate pari pari quello che mi ha detto Palma al telefono.
Il risultato? BUONISSIMO!!!!

Michela, ho visto che da Eataly vendono la "Colatura di alici" , che dici quando torni andiamo a comprarla?
Ah, Palmì , grazie per la ricetta, ti adoVo!!!! 


Ingredienti:

Melone a polpa gialla
cetrioli
arancia
gamberi
calamari
aceto di mele
miele
menta
olio
pepe di Szechuan
sale




lunedì 2 giugno 2014

GELO DI MELONE (GIALLO) CON GRANELLA DI PISTACCHI E CHIPS DI PANE CARASAU



Usava, negli anni sessanta, quando frequentavo le scuole elementari, portare in classe un diario, e quando l'amica te lo consegnava, tu avevi l'onore e l'onere di apporvi una frase ed un disegno, lei lo avrebbe conservato e si sarebbe ricordata di te per tutta la vita . MAH!!!  :-(
Quando con il sorrisino soddisfatto e la faccia da ebete mi consegnavano il diario, per me era na traggedia.
Primo perché, da maschiaccia che ero, frasi smielate non me ne venivano in mente neanche con la melassa da ciucciare attaccata al tappo della penna Bic, poi perché non sapevo disegnare.
Un incubo, per me era un incubo.
Loro "si stimavano" (si davano le arie: modo di dire milanese), con sto diario rifornito pure di lucchetto, io lo detestavo:
<<  che palleeee, ma che le devo scrivere a questa? >> 
Nulla, il buio più totale, poi mica potevi ripeterti con la stessa frase e con lo stesso disegno.
Per fortuna è durato solo 2 anni sto' supplizio, alle scuole medie guardavano i ragazzi, e tempo per queste smancerie non ne avevano più.
30 per classe, considerato che io non l'avevo perché non me ne fregava una beata, 29 X 2  = 58 frasi sdolcinate e 58 disegni.
Non so se si ricorderanno ancora di me guardando quei diari, so per certo che i disegni erano fatti con la carta copiativa e le frasi me le dettava mia madre.
Noncelapotevofare!!!!!

Cosa c'entra tutto questo con il gelo di melone?
Nulla, o quasi.... ;-)

Ho aperto un cassetto della ribaltina e vi ho trovato la mia vecchia Moleskine, ovvero il mio diario/taccuino da donna adulta però.
Ho letto qualche pagina, su una avevo annotato le parole de "Il cielo in una stanza".
Anno 1993.
Le parole di quella canzone mi hanno messo tristezza e in quelle pagine ho riletto troppa malinconia.
No no, c'era urgenza di un dolcetto scaccia nostalgia.
L'avevo in frigo fatto la mattina, ho aggiunto delle chips dolci fatte con il pane carasau e stop all'amarezza del cielo e avanti con la dolcezza del gelo.

Il diario da bambina no, ma la Moleskine da adulta si.
Aveva ragione la mia amica Giovanna quando diceva:
<< quello che non si fa da pulcini si fa da galline >>



PER IL GELO
2 meloni maturi
100 g di zucchero (se il melone è dolce consiglio di diminuire la dose,  per un gelo light si può usare anche del fruttosio,)
80 g di maizena
pane carasau
zucchero di canna


PROCEDIMENTO
Tagliare i meloni, eliminare i semi, sbucciarli e frullare la polpa fino ad arrivare ad un litro.
Trasferire la polpa in una casseruola, aggiungere lo zucchero e scaldare il composto a fiamma bassa facendo sciogliere lo zucchero
Unire la maizena sciolta con tre cucchiai di acqua fredda, mescolare continuando la cottura finchè non si addensa il tutto.
Versare il gelo in coppette, farlo raffreddare e poi porre in frigo per almeno 5/6 ore.
Decorare con pistacchi tritati e menta fresca.

Per le chips di pane carasau

Bagnare il pane e con un coppapasta ricaverne dei dischetti, porli su una placca rivestita di carta forno.
Spolverizzarli con zucchero di canna e farli asciugare sotto al grill per qualche minuto, facendo attenzione affinchè non brucino.