La prima
volta che lo incontrai era estate, e fu a casa sua.
Era quasi un anno che ero fidanzata
con il suo adorato figlio maschio, era quasi ora che fossi invitata a pranzo per
ufficializzare in qualche modo la cosa.
A 19 anni ero tanto bella quanto timida, e mi appicciai
come un peperone rosso quando lui, squadrandomi da capo a piedi (portavo minigonne mozzafiato)
, con il suo sorrisetto compiaciuto guardò il figlio e gli disse: però, che te si
firato e fa (cosa sei stato capace di fare).
La
marescialla (la moglie, anzi, mia suocera che rende meglio) a pranzo preparò la
frittura di pesce e quello non era scongelato di sicuro.
Lui sedeva sempre a capotavola ed io presi
posto alla sua sinistra (quello rimase il mio posto fino alla sua scomparsa).
Appena la moglie mi mise davanti quella enormità di gamberi calamari e pescetti
di paranza fumanti e croccanti lui, per farmi una cortesia, mi ci premette sopra mezzo limone, di quelli
della costiera, dicendo: Tiè Giovà ricreati. :-(
Io odio il
limone sul fritto :-(
Poi con quel
tono da maschilista del sud, che si accentua in presenza di estranei, si rivolse
verso la moglie dicendole: Lucià, prepara na nzalata e pummarole e miettece
pure a rucola e i pucchiacchielli.
I pucchiacchielli?
Oddio ma che dice!?. E li mi avvampai
ancora di rossore.
I napoletani
con quel termine indicano una varietà di insalata che cresce in prossimità dei
muretti o dei marciapiedi.
L’origine etimologica è chiaramente latina:
Portulaca ovvero erba, però oltre a questo con il termine Pucchia veniva
indicata anche una fonte un luogo dove sgorga l’acqua.
Però la
pucchiacca (l’insalata) oltre che essere buona se mangiata con la rughetta è quella parola con la quale a Napoli e dintorni
viene indicato anche l’organo sessuale femminile.
Detto questo
mangiai l’insalata pucchiacchella con gli occhi bassi ma gustandomela , perchè era proprio buona, poi con la rughetta....
Un’altra
caratteristica naif di mio suocero era il suo storpiare le parole, ed il bello
che quando glielo facevano notare lui ci rideva sopra con un autoironia che era
da pochi eletti.
Su un
biglietto indirizzato al figlio: Pino,
prendi due pitoni riempili di acqua e portali da Ninuccio.
Dal
farmacista: dottore vorrei quel buccettino che serve per i galli ( voleva il callifugo
Ciccarelli)
Parlando di
un amica comune, la quale aveva espresso una esagerata ammirazione per la
Valeria Marini, mi si avvicinò all’orecchio e mi disse: Giovà ma a niente a niente
chesta foss’ nu poco prespita (intendeva lesbica)
Dulcis in fundo:
Giovà sai che te dico: che brutta cosa l’ignorantità.
Totonno se
legge il mio Blog da lassù starà ridendo ancora di se stesso, ne sono
sicurissima.
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